Ostacoli: costanza e pratica dello Yoga
Ostacoli: costanza e pratica dello Yoga. Le pratiche ci chiedono di prendere consapevolezza del non essere in grado, e propongono, secondo un apprendistato rigoroso, di avere la fiducia nella possibilità di cambiamento.
Capita di incontrare diversi ostacoli lungo la via (e capiterà ancora), molti non ci turbano e li accettiamo convint3 che presto o tardi si dissolveranno. Altri ci sembrano talmente inscritti nel corpo e interiorizzati che ci angustiano e spesso ci convinciamo che non si dissolveranno mai e a volte siamo tentat3 di dichiararci sconfitt3. Poi giorno dopo giorno gli ostacoli lentamente si smussano sino ad attenuarsi e infine a dissolversi. E poi penso che poco importa se questi ostacoli che spesso si concretizzano nella mancata chiusura di un asana (e sono quindi forma) si dissolveranno o meno. Più forte e molto più radicale è la spinta che ogni giorno riporta, pratica dopo pratica, sul tappetino: perché lì ci si esprime, perché lì ci si ricerca, perché lì ci si ascolta, e si esperiscono preziosissimi istanti di quiete.
Del resto, le pratiche ci chiedono di prendere consapevolezza del nostro non sapere, del non essere in grado, e ci propongono secondo un metodo e un apprendistato rigorosi e richiedenti di avere la fiducia nella possibilità di un cambiamento. Cambiamento che va attuato giorno dopo giorno con abnegazione certo ma anche con gioia, entusiasmo e giocosità. È uno sforzo sì, ma senza sforzo perché lì nello spazio-tempo limitato e circoscritto in cui ci dedichiamo a quella pratica troviamo anche un profondo e vivificante contatto con noi stessi: apprendiamo a prenderci cura di noi e ad amarci, impariamo a conoscerci e ad ascoltarci. (Yoga con Giusi)
Ostacoli: costanza e pratica dello Yoga
(di Giusi Montali)
Ostacoli
Quando ero piccola non riuscivo a pronunciare alcuni suoni che a lungo restarono per me misteriosi. Poi piano piano giunsi a conoscerli e a padroneggiarli. Ma ancora a sei anni non riuscivo a pronunciare la erre, leggevo e parlavo speditamente saltando quella consonante e autoconvincendomi di pronunciarla. Quando mi veniva fatto notare che la erre mancava, io negavo l’evidenza. E così proseguivo, a volte dicendomi che la erre un giorno sarebbe comparsa da sola, e altre sostenendo di essere in grado di pronunciarla perfettamente e che erano gli altri a sbagliare.
Poi un giorno smisi di vedere la questione in tali termini e iniziai un lungo apprendimento: il suono venne parcellizzato, decostruito; affrontai innumerevoli esercizi; mi venne fatto vedere come posizionare le labbra, la lingua sul palato. Il suono venne suddiviso nelle sue parti. Mi esercitai sul nucleo del suono e poi da lì, esplorai i suoi contorni fino a costruirlo nella sua interezza. Ricordo esercizi quotidiani che mi impegnarono per diversi mesi a partire dall’inverno, ed ecco che sul finire della primavera apparirono i primi risultati, ne gioivo mentre osservavo il suono nascere a poco a poco, crescere e poi definirsi.
Giunse infine l’estate, e io ero in grado sporadicamente di inserire la erre all’interno delle parole con incertezze, errori, ritorni indietro ma sempre più precisamente. Passai due settimane di vacanza al mare a ripetere con mio papà, tra un bagno e l’altro, scioglilingua su scioglilingua, e infine la erre a poco a poco era divenuta mia. Sentii una profonda soddisfazione e vidi come lo sforzo costante e fiducioso mi avesse portata dove non avrei mai pensato di arrivare.
Quando ancora dubito, nego il problema, chiudo gli occhi per non vedere o nascondo ciò che ferisce l’autostima (negandomi quindi la possibilità di migliorarmi), faccio richiamo a quella me bambina che seppe fare suo, con perseveranza, ciò che le sfuggiva.
Capita di incontrare diversi ostacoli lungo la via (e capiterà ancora), molti non ci turbano e li accettiamo convint3 che presto o tardi si dissolveranno. Altri ci sembrano talmente inscritti nel corpo e interiorizzati che ci angustiano e spesso ci convinciamo che non si dissolveranno mai e a volte siamo tentat3 di dichiararci sconfitt3. Poi giorno dopo giorno gli ostacoli lentamente si smussano sino ad attenuarsi e infine a dissolversi.
Costanza e pratica dello Yoga
Ora quando mi volto indietro fatico quasi a ricordarmene, anche se a volte rimestando nella memoria può riaffiorare quel senso di sconfitta che mi aveva quasi vinta.
E poi penso che poco importa se questi ostacoli che spesso si concretizzano nella mancata chiusura di un asana (e sono quindi forma) si dissolveranno o meno: più forte e molto più radicale è la spinta che ogni giorno riporta, pratica dopo pratica, sul tappetino: perché lì ci si esprime, perché lì ci si ricerca, perché lì ci si ascolta, e si esperiscono preziosissimi istanti di quiete.
Del resto, le pratiche ci chiedono di prendere consapevolezza del nostro non sapere, del non essere in grado, e ci propongono secondo un metodo e un apprendistato rigorosi e richiedenti di avere la fiducia nella possibilità di un cambiamento. Cambiamento che va attuato giorno dopo giorno con abnegazione certo ma anche con gioia, entusiasmo e giocosità. È uno sforzo sì, ma senza sforzo. Perché lì nello spazio-tempo limitato e circoscritto in cui ci dedichiamo a quella pratica troviamo anche un profondo e vivificante contatto con noi stessi: apprendiamo a prenderci cura di noi e ad amarci, impariamo a conoscerci e ad ascoltarci. Ci decostruiamo e ricostruiamo per trovare l’equilibrio più efficiente e funzionale (non perché dobbiamo essere produttiv3 o performanti ma perché in quell’equilibrio ricercato e rinegoziato sta la nostra salute, il nostro benessere, la nostra serenità).
E tu, quali ostacoli hai trovato lungo la via che ora quando ti volti indietro fatichi quasi a ricordare? Quali sul tappetino? Come li hai affrontati?
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