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Addomesticare la paura – Yoga e vita quotidiana

Addomesticare la paura – Yoga e vita quotidiana. Impresse nel corpo ci sono storie e vicende che ci hanno segnato, ci sono traumi, incidenti e cadute, ma anche qualcosa di cui siamo meno consapevoli. “Ricordo che sbarrai gli occhi, deglutii, impallidii e provai il desiderio di fuggire… e invece rimasi ferma lì, scossi la testa, le mani sudate, e con voce flebile dissi: – non ce la faccio… -, – non importa, però prova… -“. E quindi, che fare? Cercare di non aggredire la paura; rendersi conto che esiste; provare compassione per la nostra paura e per noi; non fermarsi ma esplorarla, passettino dopo passettino con ferma gentilezza; avvicinarci al punto in cui la paura scatta e stare, calmando mente, cuore e respiro, o almeno provarci.
Verificare poi con obiettività e senza giudizio se la paura ha sempre lo stesso confine, oppure questo si è spostato un po’ più in là. (Yoga con Giusi)

 

Addomesticare la paura – Yoga e vita quotidiana

(di Giusi Montali)

Impresse nel corpo ci sono storie e vicende che ci hanno segnato, ci sono traumi, incidenti e cadute, ma anche qualcosa di cui siamo meno consapevoli, qualcosa che proviene da un’altra vita – sia che crediamo effettivamente ai cicli di morte e rinascita, sia che vi facciamo rientrare esperienze così remote che ci sembrano appartenere a un’altra vita, sia che si tratti di qualcosa che abbiamo ereditato e che risulta inscritto nel nostro DNA.

Avevo ventun anni e mi sentivo goffa e a disagio con il mio corpo che conoscevo così poco e che mi appariva un nemico. Ero stata infatti un’adolescente pigra e introversa, e avevo cominciato a fare sport solo intorno ai sedici anni e le attività che avevo intrapreso (corsa, sci di fondo, basket, calcetto) avevano ulteriormente accorciato la mia muscolatura, di certo ab origine non molto flessibile. Mi riconoscevo una buona dose di resistenza, ma nulla di più; i miei movimenti non erano armoniosi e disprezzavo la mia corporatura tarchiata.
Se ripenso alla me di allora rivedo una giovane donna impaurita, solitaria, chiusa nel suo mondo interiore, desiderosa di dialogare ed entrare in comunicazione ma incapace di farlo.

Praticavo yoga da qualche mese con un misto di curiosità e stupore perché per la prima volta avevo scoperto che il risultato e/o l’obiettivo da raggiungere non c’erano, e io potevo finalmente venire a patti con il perfezionismo e la frustrazione; contava invece – e quello sì davvero – come mi sentivo durante la lezione e soprattutto dopo, una volta terminata, e ancora più nei giorni successivi. Sentivo crearsi dello spazio all’interno di me e nel corpo, come aprire tutte le finestre di una casa in una giornata di sole e vento…

Un giorno però durante una lezione provai una paura atavica che sembrava montare dal corpo e poi ancora più dietro da una parte di me istintuale… e questo perché l’insegnante mi aveva chiesto di sorreggermi la schiena con le mani e portare le gambe indietro oltre la testa e sostenere così il mio corpo attraverso le mani, i gomiti, le braccia, le spalle, il collo e la testa, ma io avevo paura, sentivo la muscolatura tirare, mi scoprivo rigida, il pavimento irraggiungibile e ogni piccolo movimento dei piedi e delle gambe mi causava un tuffo al cuore. Ricordo che esclamai: – Non ci arriverò mai! -, – Non dire mai solo perché ora non ci riesci! – mi rispose lei.

Qualche tempo dopo mi venne chiesto di provare a cambiare punto di vista e provare vicino a un muro ad appoggiare la testa, le mani e le braccia a terra e sollevare le gambe verso l’alto ed eseguire sirsasana, la verticale in appoggio sulla testa. Ricordo che sbarrai gli occhi, deglutii, impallidii e provai il desiderio di fuggire… e invece rimasi ferma lì, scossi la testa, le mani sudate, e con voce flebile dissi: – non ce la faccio… -, – non importa, però prova… –

Reazioni simili mi si sono ripresentate più volte (e ancora oggi avviene quando mi trovo ad affrontare asana che fanno emergere la paura), però con il tempo ho imparato a convivere con la paura e poi a spostarla più in là e infine ad addomesticarla.

E quindi, che fare? Cercare di non aggredire la paura; rendersi conto che esiste; provare compassione per la nostra paura e per noi; non fermarsi ma esplorarla, passettino dopo passettino con ferma gentilezza; avvicinarci al punto in cui la paura scatta e stare, calmando mente, cuore e respiro, o almeno provarci.
Verificare poi con obiettività e senza giudizio se la paura ha sempre lo stesso confine, oppure questo si è spostato un po’ più in là. Di solito questi spostamenti della paura ci sembrano molto lenti e quasi impercettibili, fino a quando un giorno realizziamo che la paura è scomparsa e stiamo nell’asana che ci destava terrore con agio e tranquillità. Quanto lavoro si è svolto nel frattempo dentro di noi? Quante barriere abbiamo valicato? Quali e quanti schemi di comportamento abbiamo modificato? E come siamo cambiati noi e il modo in cui entriamo in relazione con gli altri e l’ambiente circostante?

 

 

 


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