Yoga e anarchia - lo yoga è forse anarchico? Portare la consapevolezza nel corpo e abolire le gerarchie. Yoga con Giusi
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Lo yoga è forse anarchico? Portare la consapevolezza nel corpo e abolire le gerarchie: riflessioni attorno a Donna Farhi e Colin Ward

Lo yoga è forse anarchico? Portare la consapevolezza nel corpo e abolire le gerarchie. Penso a quanto sono stata e sono impaziente; a quanto ho forzato in passato chiedendo al mio corpo azioni e movimenti che non era ancora in grado di fare, perseverando sulla strada della violenza e del non ascolto con la forza della mia ostinazione e così mi sono procurata traumi, infortuni, rallentamenti, afflizioni, difficili soste sul percorso e dolorosi ritorni indietro. E questo perché la mente tiranneggiava non ascoltando i bisogni del corpo che implorava riposo e tregua.
Lo yoga invece ci insegna che non solo possiamo ma dobbiamo avere presso la coscienza i rappresentanti di ogni sistema corporeo e strato, e che la mente deve di certo abdicare dal consueto ruolo di dittatore. (Yoga con Giusi)

 

Portare la consapevolezza nel corpo e abolire le gerarchie: lo yoga è forse anarchico? Riflessioni attorno a Donna Farhi e Colin Ward

(di Giusi Montali)

 

Qualche tempo fa mi ero chiesta un po’ provocatoriamente se lo yoga fosse anarchico. Messa così potrebbe sembrare un’affermazione per épater le bourgeois ma se ci si sofferma un attimo non è in realtà così strana. Certo, c’è da intendersi sul tipo di anarchia e io senza dubbio prediligo le visioni di Colin Ward di anarchia come organizzazione, una sorta di rete priva di vertice nella quale le singole parti cooperano pacificamente per la realizzazione del bene comune, ciascuno secondo le proprie caratteristiche e predisposizioni.

 

Stamattina leggendo un libro prezioso – che sto assaporando con lentezza perché ogni pagina è una miniera d’oro -, ovvero Lo yoga nella vita. La pratica quotidiana di una vita illuminata di Donna Farhi, mi sono imbattuta in alcuni passi che hanno fatto riecheggiare in me quelle riflessioni personali e mi hanno fatto esclamare: – Ecco che cosa intendevo! -.

 

“Se immaginiamo il corpo come una comunità – con ogni sistema corporeo e ogni strato come un rappresentante presso la coscienza – la nostra espressione occidentale del corpo si limita quasi del tutto al portavoce dei rappresentanti del corpo, il sistema muscolo scheletrico, mentre gli altri sistemi interni (organi, fluidi e ghiandole) rimangono letteralmente a fare da tappezzeria all’interno della coscienza”.
E io ne deduco che lo yoga invece ci insegna che non solo possiamo ma dobbiamo avere presso la coscienza i rappresentanti di ogni sistema corporeo e strato, e che la mente deve di certo abdicare dal consueto ruolo di dittatore. E così, prosegue Donna Farhi, “dal momento che diamo piena attenzione a ogni respiro, a ogni movimento, alla più sottile delle sensazioni, il corpo si fa consapevole e la mente si incarna nel corpo”. E allora, esclamo io tra me e me (ero pur seduta a un bar), le gerarchie vengono quindi abbattute e si crea una struttura reticolare. Così, si giunge ad ascoltare e mettere in comunicazione le tante parti di sé e si lavora attivamente per l’integrazione, l’armonia e la non-violenza.

 

E dunque, camminando verso casa, penso a quanto sono stata e sono impaziente; a quanto ho forzato in passato chiedendo al mio corpo azioni e movimenti che non era ancora in grado di fare, perseverando sulla strada della violenza e del non ascolto con la forza della mia ostinazione (dopotutto ho la luna in ariete), e così mi sono procurata traumi, infortuni, rallentamenti, afflizioni, difficili soste sul percorso e dolorosi ritorni indietro. E questo perché la mente tiranneggiava non ascoltando i bisogni del corpo che implorava riposo e tregua.

 

E allora dovremmo tentare un’altra via, di certo tanto impervia, che però è in grado di donare molto. Ovvero la via dell’ascolto, dell’integrazione, del muoversi nel respiro e con il respiro, rispettando i segnali del corpo, lasciandosi guidare da lui e non dall’ego e dalla mente tiranna. La via della pazienza, dote alla quale non siamo di certo abituati e che richiede un impegno graduale e costante; una via che chiede di lasciar andare il desiderio di piaceri facili e immediati, che poi si rivelano illusori, per preferirvi un bene maggiore e stabile che diventa parte integrante di noi.
Ci può volere molto tempo per giungere a questa risoluzione e ancora occorrerà fare tanta strada, ma un passo alla volta si può nutrire la fiducia di modificare un’abitudine di inascolto in una di ascolto attivo e di acquisizione di consapevolezza.

 

*credits: la foto è di Eleonora Vitali

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